Convegno della Diaconia 2025: Il senso del lavoro nel mondo dell’istantaneità

Si è parlato di «Lavoro, vocazione, benessere e identità» al Convegno della Diaconia l’8 marzo a Firenze. Tema quanto mai importante in un mondo «che vive nell’istantaneità e in un sistema che spesso è disumanizzante», ma anche in cui sempre più persone cercano nel lavoro non solo una fonte di reddito, ma anche un’opportunità di crescita e realizzazione.

Si riporta l’articolo pubblicato da Davide Rosso sul settimanale Riforma

Si è parlato di «Lavoro, vocazione, benessere e identità» al Convegno della Diaconia l’8 marzo a Firenze. Tema quanto mai importante in un mondo «che vive nell’istantaneità e in un sistema che spesso è disumanizzante», ma anche in cui sempre più persone cercano nel lavoro non solo una fonte di reddito, ma anche un’opportunità di crescita e realizzazione.

L’incontro, giunto alla sua 34a edizione (organizzatori: Diaconia valdese CSD, Facoltà valdese di Teologia, Tavola valdese) si è tenuto nell’Aula Magna dell’Istituto Gould ed è partito dal fatto che «stiamo assistendo a una trasformazione profonda del mondo del lavoro, guidata dall’innovazione tecnologica e dai cambiamenti sociali» (Carlo Baret, vicepresidente della Diaconia nell’introduzione). Tra le tematiche affrontate non poteva mancare l’intelligenza artificiale e l’automazione, «che stanno rivoluzionando i processi, automatizzando molte attività e mettendo in discussione ruoli consolidati», ma anche il lavoro a distanza e l’eredità lasciata dalla pandemia, che ha ridefinito i confini tra vita privata e professionale.

La moderatora della Tavola valdese, Alessandra Trotta, nella meditazione di apertura, ha parlato di lavoro come «strumento di cura del mondo» facendo riferimento all’atto Sinodale del 2023 ma anche «del farsi carico del qui e del presente nella disumanizzazione». Proprio questo riferimento al “sistema” e alla necessità di “spezzare” le logiche è stato uno dei leit Motiv del convegno. «La necessità – ha detto Dario Danti, assessore al Lavoro del Comune di Firenze – di non concepire il capitalismo come punto di arrivo della storia ma avere come tema il modello di sviluppo che vogliamo seguire. In cui diventa importante liberare il tempo dal lavoro, e guardare alla dignità delle persone e alla loro felicità».

Il lavoro è certo un diritto ma anche, nella dimensione biblica, «un servizio agli altri gradito a Dio»: occorre però «non clericalizzarlo – così Fulvio Ferrario, docente di Teologia sistematica, alla Facoltà di Teologia –, lasciarlo nella sua dimensione secolare. Il servizio ha a che fare con il servire, non è una dimensione poetica. Se va mantenuto però il messaggio che il lavoro è fatica, gli spazi di liberazione del tempo sono fondamentali e vanno presi in carico». Si è anche evidenziato come il lavoro non stia degenerando, è la situazione che si è fatta più complessa. La tecnologia non mette a rischio il lavoro, ma semmai le competenze – ha evidenziato Alberto Signori, direttore in un’azienda multinazionale –. Per questo diventa fondamentale l’apprendimento continuo, unico modo per non essere sprovvisti di strumenti. La pandemia del resto ha messo in evidenza anche il lento disamoramento per il lavoro e il post-Covid ha significato per molte aziende un tornare indietro sul tema del lavoro a distanza».

«Dopo il Covid – ha sottolineato Barbara Grill, manager nel settore socio-sanitario – possiamo parlare di una crisi del sistema dell’assistenza: carenza di infermieri, poca attrattività, scarsa valorizzazione delle risorse umane in un mondo in cui l’85% degli operatori sono donne e il 12% migranti». E se è vero che si fa fatica a trovare chi si occupa di fragilità, «occorre però anche lavorare – ha aggiunto Loretta Malan, direttrice dei Servizi Inclusione, CSD – sul riconoscersi nel servizio diaconale. Dare spazio all’ascolto. Accogliere le fragilità nel rispetto dei ruoli e delle regole condividendo i valori».

«Le preoccupazioni dell’urgenza dell’operatività – ha detto Anna Ponente, direttrice del Centro diaconale La Noce di Palermo – e dell’attesa dei finanziamenti che mette a rischio la continuità dell’intervento portano alla parcellizzazione dell’impegno lavorativo e alla crescita della pressione. Serve un welfare aziendale che crei una rete di sostegno, in sostanza un pensiero sistemico nuovo». Serve una valorizzazione politico-sociale del lavoro diaconale: la diaconia deve uscire dai propri luoghi, entrare nelle agenzie formative e raccontarsi. «E prendersi cura – ha chiarito Roberto Locchi, referente della supervisione CSD – significa anche creare dei luoghi non solo dove viene contenuto il disagio ma dove poterlo depositare».

Nella dimensione della cura poi la formazione è cambiamento. «Lo sviluppo delle competenze – ha ricordato Valentina Tousjin, responsabile dei Sistemi e Formazione CSD – può portare all’aumento della fiducia in se stessi e del senso di appartenenza. La formazione non è un costo bensì un investimento». Né si possono infine dimenticare i rapporti sindacali, la necessità di creare un lessico condiviso nel processo di dialogo e scambio, perché «i cambiamenti del mondo del lavoro – ha detto Stefano Gnone, direttore Amministrativo CSD – non possono essere affrontati da soli».

Nelle conclusioni il presidente della CSD Daniele Massa ha parlato di «necessità di riconoscimento sociale del lavoro. Di fronte allo Stato che arretra occorre capire innanzitutto come fare a mantenere i servizi. Se le fondamenta, come ci dice l’art. 1 della Costituzione, sono rappresentate dal lavoro, non possiamo permettere che queste siano deboli. Il momento dell’ascolto reciproco con gli operatori e di condivisione delle prospettive di intervento diventa così fondamentale e imprescindibile».

Insomma, un convegno lineare nel suo vedere il lavoro diaconale nel mondo anche come necessitante di attenzione. Una cura estendibile anche ad altri campi, dalla comunicazione al volontariato. Sapendo che, riprendendo una frase di José Saramago citata nel convegno, «bisogna continuamente ricominciare il viaggio».

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